Il Fratello Leader della Rivoluzione presenta agli intellettuali africani la sua visione strategica di una rivoluzione culturale africana per conservare l’identità africana, le sue radici storiche e il suo antico patrimonio culturale
Muammar Al Gheddafi parla italiano
Muammar Al Gaddafi speaks Italian
Il Fratello Leader della Rivoluzione presenta agli intellettuali africani la sua visione strategica di una rivoluzione culturale africana per conservare l’identità africana, le sue radici storiche e il suo antico patrimonio culturale
05.02.2003
Salve al mio caro fratello
Abdullah Wad e ai membri di questo governo presente in sala. Saluto
il popolo senegalese, un individuo alla volta, uomini e donne, e
l’Unione Africana, oggi, per la sorella senegalese.
Grazie,
Signor Presidente e caro fratello, per le belle parole in apertura
a questo incontro e per quelle appena dette. Saluto anche il nostro
fratello, il presidente Alpha Konare, capo della Commissione per
l’Unione Africana, e vorrei ringraziarlo per le parole a me dirette
nel suo discorso introduttivo l’altro giorno. Vorrei anche
ringraziare tutti i leader africani, che hanno seguito la sessione
di apertura, anche se non sono presenti oggi. Infine, vorrei
salutare i miei fratelli intellettuali africani e ringraziarli con
grande calore.
Sono
molto contento e orgoglioso che siano tutti presenti e abbiamo
risposto all’invito del nostro fratello Abdullah Wad, che infatti è
insegnante, intellettuale, rivoluzionario e capo dell’opposizione
popolare che è ascesa al potere in Senegal. Egli capisce gli
intellettuali, il loro compito e ruolo; perciò lo ringrazio per
aver proposto l’idea che ora è stata realizzata.
Io
l’avevo sostenuto in Lome quando l’aveva proposta perché sapevo che
era un’idea utile proposta dal Presidente Abdullah Wad, storico e
uomo di cultura è impegnato nella causa africana. Lo dico perché la
cultura è il problema del terzo mondo. Sono i leader senza cultura
la causa principale del ritardo nello sviluppo, nel progresso,
nella democrazia e nella stabilità del terzo mondo. La cultura è
fondamentale nella leadership.
E infatti
rimasi felicemente impressionato dall’idea, dalla presenza e dalla
partecipazione. Allo stesso tempo, apprezzo sempre più questo
raduno perché chi partecipa viene dagli angoli più remoti della
terra, cosa che mi rende orgoglioso degli intellettuali africani. È
una prova di patriottismo di questi intellettuali diasporici,
dispersi per tutti i continenti del mondo al di fuori della
madrepatria, l’Africa, a cui però sono in pieno rapporto ed è per
lei che sono qui oggi. Sono alla ricerca di unire continente e
madrepatria, cercando di farla avanzare in quest’epoca, dati i
forti ritardi dovuti a fattori esterni. Ciò mi dà fiducia, malgrado
le distanze fisiche, nell’attaccamento costante degli africani al
loro paese.
Mi
dispiace di non poter partecipare per ragioni ben note al mio
fratelo Presidente Abdullah Wad, anche se avrei voluto essere con
voi. Comunque, attraverso questo intervento vorrei presentare
alcune brevi tesi senza andare nei dettagli. Vorrei proporle a voi
perché vengano incluse nel vostro programma. Naturalmente, vi do il
benvenuto nel vostro paese, la Libia, in ogni momento e in ogni
modo, sia attraverso i vostri rappresentanti sia nella vostra
persona.
Sento che
l’Africa si sta unendo ora e che sta cercando il suo posto al sole
tra le nazioni. È ben nota tragedia che l’Africa intera sia stata
svilita, fatta schiava e trattata brutalmente dai bianchi razzisti
occidentali. In primo luogo, facciamo fronte al problema istituendo
l’Unione Africana. Vorrei che gli intelettuali ora risolvessero il
problema della lingua in Africa, che è molto serio, difficile ed
essenziale. Si usano due lingue: una ufficiale e una
popolare.
La lingua
ufficiale è quella del colonialismo (inglese, francese e
portoghese) e la lingua popolare e quella non ufficiale che
parliamo noi, che comprende tutti i dialetti africani, cioè 800 o
1000 dialetti. La lingua ufficiale che parliamo è scritta e ha un
alfabeto, mentre la lingua africana autentica e popolare non è
scritta. Uno dei dilemmi di fronte a noi è la mancanza di un
alfabeto scritto nella lingua popolare africana, la lingua dei
nostri antenati. È un problema che dobbiamo risolvere, ma non
usando l’alfabeto latino e incorporandolo nella lingua africana,
perché così la corromperemmo; la soluzione è da scartare fin
dall’inizio.
Tutte le
lingue non-latine che debbono usare l’alfabeto latino hanno
corrotto sia l’alfabeto che le lingue stesse, perché la lingua non
può conformarsi all’alfabeto come l’abbiamo visto nel turco e in
alcuni stati che hanno adottato l’alfabeto latino, come la Russia e
altri paesi. E invece gli alfabeti del cinese, del giapponese e
dell’arabo si conformano in pieno alle loro lingue.
Se
dovessimo scrivere l’arabo usando l’alfabeto latino, il significato
si perderebbe del tutto. Qindi dobbiamo scartare l’alfabeto latino
subito. Dobbiamo invece pensare alla nostra lingua madre, che è
responsabilità degli intellettuali africani in patria e fuori,
nella diaspora e nella terra madre.
Da un
lato, come possiamo scrivere le lingue africane? Dall’altro, come
possiamo unirle? Possiamo parlare ottocento o mille lingue? Come le
insegniamo ai nostri figli? Credo che dobbiate risolvere questo
problema scegliendo tre o quattro lingue dominanti da insegnare
nelle scuole africane in quanto obbligatorie anche per gli stati.
Tale è la volontà degli africani e così nessuno capo o governo
potrà sotrarsi alla decisione. La lingua è importante perché
possiamo relazionarci alle nostre religioni, alla nostra cultura,
all’arte, alla musica e al folclore dell’Africa solo attraverso la
lingua degli antenati.
Se
perdiamo le lingue perdiamo il passato, la storia, le radici che ci
appartengono. Spero che potrete risolvere questo dilemma. Certo, ci
sono proposte da leader che sostengono l’adozione dello swahili,
dell’arabo, dell’hausa e dell’aramaico, cioè tre o quattro lingue,
da rendere obbligatorie in Africa, insegnanod allo stesso tempo le
lingue parlate perché posssano essere ancora usate in famiglia e
tra la gente. È urgente risolvere questo problema e spero che vi
prestiate la vostra intera attenzione, perché altrimenti perderemo
il nostro passato e resteremo sospesi senza radici.
Il
secondo punto sono le religioni africane. È una vergogna che si
dica che l’Africa abbia conosciuto Dio solo dopo il colonialismo
occidentale e l’adozione della cristianità. È vergognoso e
storicamente falso e voi in quanto intellettuali lo sapete. Come
può darsi che l’Africa abbia potuto conoscere Dio solo dopo la
Conferenza di Berlino del 1885? L’Africa aveva conosciuto Dio
addirittura prima che Berlino venisse costruita e prima che
l’Europa venisse abitata. L’Africa conosceva Dio. Io ho fatto uno
studio sulla teologia e sulle religioni africane e ho trovato che
costoro, contrariamente a quanto si dice in merito, non sono
affatto pagane.
Sono
religioni monoteiste come la religione di Abramo, sia pace a lui,
con cui la religione è iniziata per poi concludersi con Maometto,
l’ultimo dei profeti. Le religioni africane sono monoteiste. Ho
tracciato un paragone tra il Corano e le religioni africane e ho
scoperto che sono religioni monoteiste e coerenti per gran parte
con l’Islam. Ho trovato i gloriosi nomi di Dio citati nel Corano
anche nelle religioni dell’Africa. Nell’Islam, tra i gloriosi nomi
di Dio ci sono l’Uno, il Signore della Maestà, il Fidato, il
Creatore, il Conferitore, il Possessore, il Signore dei Cieli, il
Supremo, l’Immemoriale e l’Originatore.
Questi
sono i nomi gloriosi di Dio citati nel Corano, che ho ritrovato
frequenti nelle religioni antiche dell’Africa. Quando nella lingua
degli Uruba in Nigeria e nell’Africa dell’Ovest parlano di “Old
Maary” significa l’Uno, il Signore della Maestà, l’Eterno e il
Fidato.
Queste
parole, “l’Uno, il Signore della Maestà, l’Eterno e il Fidato”,
sono citate nel Corano come attributi di Dio. “Aris”in Uruba
significa la sola sorgente di esistenza, che è lo stesso
significato di Primo Creatore, e “Jobi” in Timbuca in Malawy
significa “Il Conferitore” come nel Corano. Quando si dice
“Kajenjo” in Uganda, significa il Signore dell’Universo, come Dio
viene definito nel Corano. “Roshobura fouz” in Burundi vuol dire
“Il Signore” come nel verso del Corano: “Signore del Giorno del
Giudizio, se tu che noi adoriamo e a cui chiediamo soccorso”.
Inoltre, quando le tribù Lou del Kenya dicono “Nyakalaga” significa
“L’Immemoriale”; “Wak”in Etiopia vuol dire “Il Signore dei Cieli” e
“Sousa” in Zala in “Etiopia” vuol dire “Il Signore dell’Universo” e
“Laifi”in Mindi in Sierra Leone vuol dire “Il Supremo Creatore”.
Non passerò in rassegna tutti i novantanove Nomi Gloriosi di Dio,
tutti quanti rinvenibili nelle religioni africane. Ciò per quanto
riguarda il linguaggio.
Per
qunato riguarda la religione africana, dobbiamo ritornare alla
nostra religione africana. Ora dicono: “È la religione della
giungla”. Ebbene sia. Abbiamo anche bisogno di una rivoluzione
culutrale che ricostruisca le nostre lingue e queste religioni
monoteiste.
So di
cosa parlo. Io sono credente e mussulmano e so che il ritorno alle
religioni africane è un ritorno alla pura religione libera da
idolatria. È una vergogna quanto ci dicono ora: “Conoscete Dio solo
in seguito al colonialismo occidentale... Siamo stati noi a farvi
conoscere Dio, il Cristianesimo e la religione”. Ora, dopo aver
parlato di lingua e di religione, veniamo ad altre cose moralmente
non paragonabili, ma nondimeno importanti.
Veniamo
all’ambiente di vita, al cottage africano. Vorrei che gli uomini di
cultura e gli architetti pensassero a un programma per impedire
l’estinzine del cottage africano. Non bisogna permettere che il
cottage africano scompaia e sia sostituito dal cemento armato e da
palazzi che magari vanno bene in Scandinavia o tra gli eschimesi o
in Islanda, in Groenlandia e in Alaska.
Non
bisogna importarli in Africa perché non vanno bene per noi. È il
cottage africano che va bene al nostro ambiente, al nostro clima e
ai nostri costumi. È poco costoso perché si costruisce con
materiali di facile reperibilità locale e spesso sono le famiglie
stesse a costruirlo. Abbiamo abitato nei cottage per secoli senza
averne alcun male; al contrario, siamo in ottima salute. Il cottage
è igienico e non ha bisogno di condizionatori d’aria da comprare
dall’Europa o del gas da immettere nei condizionatori stessi.
Inoltre, non ha bisogno di ventilazione artificiale perché ne ha
una sua naturale.
Spero che
si conservi il cottage africano e che si facciano studi
sull’ambiente e sull’eredità storica, perché ciò sarebbe d’aiuto a
tale conservazione. La ragione è che ho visitato per via di terra
tante regioni dell’Africa Occidentale, Centrale, Orientale e
Meridionale. Ho viaggiato in automobile e ho visto i cottage, ho
visitato i villaggi, ho intervistato gli abitanti e mi sono seduto
in mezzo a loro. Ho riscontrarto che ogni membro della famiglia ha
il suo cottage, che c’è un cottage per la cucina, uno per il
salotto e uno per gli animali. Quando ho detto per ischerzo a un
africano: “Le diamo una macchina di lusso: Cadillac, Mercedes o
Rolls Royce”, mi ha risposto: “Non mi serve una macchina: mi sono
stabilito qui e ho tutto”.
Quindi
gli ho detto: “Bene, e se facessimo una strada pavimentata?” Mi
rispose: “E che ci faccio di una strada? Lasciate la terra com’è.
Ho gli alberi da frutto, coltivo granaglie a ho due o tre animali
che vivono sotto gli alberi. Quando ho bisogno d’acqua c’è il fiume
lì vicino”. Se gli costruissimo la strada pavimentata e gli dessimo
una macchina e una casa di cemento lo distruggeremmo,
probabilmente, e lo condurremmo nell’inferno del cemento. Per
carità, difendete il cottage africano!
Spero che
il vostro incontro storico abbia qualche risultato in merito alla
lingua, alla religione, al cottage e all’abbigliamento africano.
Spero che non si sostituisca quest’ultimo con quello europeo,
perché il clima dell’Europa è diverso dal nostro, i loro edifici
sono diversi dai nostri e noi andiamo a piedi e a cavallo di bestie
da soma, mentre gli europei salgono a bordo di satelliti e
treni.
Quando
avremo un astronauta africano lo faremo vestire come un astronauta,
ma ora i nostri bambini, le nostre donne, i nostri vecchi e i
nostri figli debbono vestirsi all’africana, che è stato pensato per
il clima e l’ambiente dell’Africa. Per cortesia, non
occidentalizziamolo, perché sarebbe come deformarci. La nostra
religione venne deformata, la nostra lingua venne deformata, il
nostro ambiente venne deformato e quindi anche il nostro
abbigliamento verrà probabilmente deformato e ci cambieranno il
cibo, le bevande e il modo di cucinare.
La cucina
africana e il nostro cibo debbono restare tali e quali e non
dovremmo lasciarci stupire dall’America e dall’Europa. Nei loro
ristoranti là li vediamo mangiare scarafaggi e rane e preparare
ogni tipo di piatto che va bene a loro, ma non a noi. C’è cibo in
Europa che, se dovessimo mangiarlo noi in Africa, ne morremmo
probabilmente.
Ero in
Inghilterra nel 1966 per un corso di luogotenente e ho sentito
gente lì dire ai bambini: “Non mangiar maiale nei mesi senza la
‘r’, cioè maggio, giugno, luglio e agosto”, perché sono i quattro
mesi dell’estate, in cui il maiale può far danni. Quando mangiamo
maiale noi, in un clima caldo, può farci molto male, come provato
dalla medicina. La cucina africana è adatta a noi e al nostro
ambiente. Gli animali di cui mangiamo le carni e di cui beviamo il
latte, la nostra terra, il nostro suolo e le piante che vi crescono
sono diversi dai loro. Perciò speroche non ci spoglino dei nostri
vestiti e del nostro cibo e che non ci invadano la cucina, la casa,
la religione e la lingua e ci privino di queste componenti della
nostra identità.
Vorrei
che l’Africa avesse un riferimento di stabilità e di ciò ho
scritto. Ho un sito internet: “Algathafi Speaks”, all’indirizzo:
www.algathafi.org, accessibile in arabo, inglese e francese. Scrivo
sempre i miei pensieri sul sito per il mondo. Ho scritto
sull’autorità e la stabilitàz in Africa e spero che lo
leggerete.
L’Africa
ha bisogno di autorità e stabilità. Come sapete, dopo il
colonialismo l’Africa ha avuto una fase di liberazione per atto di
grandi leader come Nkrumah, Bin Bella, Nasser, Nyere, Lumumba,
Modibo, Keita e Kaunda, ecc. Quei leader erano i padri fondatori
dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OAU). Però il
colonialismo cospirò contro questa classe di leader e decise di
estrometterli e di sostituirli coi suoi lacchè. Infatti Kwami
Nkrumah venne roversciato, Lumumba liquidato fisicamente e Modibo
Keita parimenti rovesciato. Nasser subì sessanta attentati e Ahmad
Sekou Toure quaranta. Non voglio elencarli tutti perché potrebbe
ferire qualcuno. Il punto è che con quei leader l’Africa ebbe
un’età dell’oro. Loro fondarono la OAU e mostrarono la volontà di
liberazione e la determinazione all’unità e all’avanzamento
dell’Africa, ma il colonialismo cospirò per
rovesciarli.
In
seguito, l’Africa entrò in una fase di colpi di stato militari.
Così i leader dell’Africa furono personale militare, esperto solo
in scienze militari. Alcuni erano sottufficiali promossi al grado
di ufficiali. A volte erano i sottufficiali a gestire il golpe. La
leadership africana si indebolì parecchio perché questa classe non
aveva conoscenze di politica, economia, società, tecnocrazia,
management e scienze. Perciò l’Africa vide la farsa dei golpe
militari; e la vidi anch’io.
Ogni
africano ha visto tre o quattro golpe, col solo risultato che
diedero seguito a una sequela di ufficiali e a un periodo di
instabilità. A ciò seguiva una terza fase di pluralismo e di
elezioni. I golpe erano come elezioni. In arabo le due parole sono
in rima, non so in inglese o in francese.
Ciò portò
a una maggiore instabilità, con un presidente dopo l’altro ogni
quattro anni. Inoltre, alcune costituzini limitano il presidente a
due legislature. Se il presidente è buono, perché limitare la
volontà popolare dopo due legislature? Se la gente vuole lui,
bisogna dargliene la possibilità. Ritengo che le costituzioni
africane debbono tenerne conto così che non impongano condizioni
alla volontà popolare. SE la gente vuole eleggere un presidente una
due o dieci volte la costituzione glielo deve
permettere.
Perché la
gente deve essere privata di un presidente capace che ha un
programma da svolgere? E invece non ne è capace e viene costretto a
lasciare il posto a qualcun altro che magari è il suo opposto
totale e può addirittura annullare il programma originale. Le
elezioni non portano né stabilità né benefici e il pluralismo è
mera formalità, cioè un adempimento delle istruzioni della Banca
Mondiale, dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, del Fondo
Monetario Internazionale, dell’Europa Unita e degli Stati Uniti,
che chiedono l’istituzione del pluralismo come condizione
dell’elargimento di aiuti e prestiti.
L’America
non ha alcun pluralismo, come non l’hanno l’Inghilterra, la Spagna
o l’Italia... Sono tutti governati da un partito unico; l’America è
governata da un partito unico. In sostanza, ci sono due partiti, ma
sono solo piattaforme e non partiti per davvero. E allora l’Africa?
In Africa non conosciamo partiti: siamo tribù e siamo più vicini al
sistema popolare Jamahiriy e alle assemblee e alle commissioni
popolari che si addicono a noi più dei partiti. I nostri popoli non
conoscono partiti e nemmeno elezioni.
L’Egitto
per esempio è stato a lungo indipendente, ma quando ci furono le
elezioni nell’Alto Egitto, a un cittadino si chiese: “Per chi
voterà lei?” Egli rispose: “Sa’ad Zaghloul”. Il suddetto Sa’ad
Zaghloul morì nel 1920, ma era ancora in mente alla gente. In un
paese africano vicino distribuirono foto dei candidati per farli
riconoscere agli elettori che le avrebbero viste nella cabina
elettorale. La gente portò a casa le fotografie e le appese. Quando
gli chiesero perché non avessero votato, risposero: “Pensavamo di
dover portare le fotografie a casa e di appenderle. Non sapevamo!”
Anche i referendum sono sconosciuti alla nostra gente. Non sono
cose per noi.
La verità
dei fatti è che ci imbarcammo in un’altra fase di instabilità, che
è la fase delle elezioni e del pluralismo. Una volta provatone il
fallimento, ci siamo imbarcati in un’altra fase, quella delle
ribellioni. Un presidente eletto fa fronte a una ribellione prima
che la sua legislatura finisca. Gli esempi sono tanti. In Costa
d’Avorio il presidente eletto sta facendo fronte a una ribellione e
il presidente eletto è stato rovesciato in Liberia. La stessa cosa
è capitata in Guinea Bissau e in Sao Tome e Principe, dove il
presidente è stato reinstituito dall’ECOWAS e in Africa Centrale...
Ci sono anche ribellioni in Sudan, Ciad, Burundi, Ruanda e Uganda.
Perciò le elezioni non hanno risolto il problema.
Abbiamo
bisongo di stabilità, che richiede continuità nella leadership
politica. Il potere deve essere controllato dalla gente attraverso
le assemblee e le commissioni popolari. Sono le masse e le
assemblee popolari a essere stabili. Ci deve comunque essere
un’autorità, che è necessaria dove ci siano vizi come in Sierra
Leone, il Liberia, in Africa Centrale e nel Burundi. In alcuni
paesi al mondo, come sapete, c’è un re o una regina che non è parte
del potere esecutivo o legislativo, ma è un’autorità di riserva che
fa da arbitor quando queste parti sono in disaccordo.
Tale
autorità si impone, anche se non impersonata in individui come re o
presidenti a vita, come era il caso in Africa nella fase iniziale
dopo l’indipendenza, deve esserci un’autorità legale, che è
discutibile in Africa. I paesi europei o di altri continenti del
mondo hanno un’autorità, reale o presidenziale, che non ha
relazioni col potere esecutivo o legistlativo o giudiziario del
governo. Ma è disponibile a dare un’opinione su richiesta. Nei
paesi che non sono monarchie v’è un’autorità legale, come una corte
suprema o costituzionale, le cui decisioni osno vincolanti. Noi
invece non abbiamo tali corti e non possiamo istituire una corte
stabile e imparziale le cui decisioni siano vincolanti; sarebbe il
governo a istituire una corte che quindi dovrebbe essergli leale.
Perciò deve esserci un’autorità.
Oltre a
ciò dovremmo avere un rapporto tra la madrepatria africana e gli
stati della vostra diaspora. Deve esserci una politica estera
unitaria, un’economia unica e una difesa unica, che porterebbe in
ultima analisi a una posizione unitaria nelle trattative. Il
presidente Abdulla Wad vi ha detto l’altro giorno che le compagnie
straniere sono venute a tentare l’esplorazione del petrolio in
Senegal dicendo: “Facciamo l’esplorazione dell’olio se la compagnia
prende l’85% e il Senegal il 10-15%” Quindi rispose loro: “No. Se
questo il caso, il petrolio rimane sottoterra per i posteri, che
saranno in una posizione più favorevole per rovesciare il negoziato
e quindi dare l’80% al Senegal e il 15-20% alla
compagnia.”
Questa è
una posizione corretta. Tale è stata la situazione in Libia prima
della rivoluzione e venne rovesciata in seguito. Ma il problema è
che ogni singolo stato africano separato non ha una posizione forte
di trattativa.
Qual è il
potere della Libia, del Senegal, del Gambia, del Malawi o del
Burundi, per esempio, nei confronti del colosso americano, del
colosso europeo, del Giappone, della Cina, della Spagna, della
Confederazione di Stati Indipendenti che erano parte dell’ex-Unione
Sovietica o gli stati della Cintura del Pacifico? Qual è il nostro
potere di trattativa nei confronti di questi giganti? Non abbiamo
futuro se non con una posizione forte ai negoziati, che può darsi
solo se l’Africa intera ha un solo ministro degli esteri e un
ministro del commercio estero. Ciò unirebbe anche le dogane e
quindi la stessa tariffa si applicherebbe alle merci che entrano in
Sudafrica o in Libia.
Quando
c’è un ministro degli esteri solo, basta un solo contatto
all’estero. Inoltre, è necessaria una sola difesa per tutta
l’Africa. Tutte queste cose sono connesse: l’economia, il commercio
estero, la politica estera e la difesa. Spero che il vostro
congresso arrivi all’adozione di misure di sostegno di queste idee
e che vogliate continuare a fare pressioni costanti sui governi
degli stati membri dell’Unione Africana affinché istituiscano un
solo ministro degli affari esteri, un solo ministro del commercio
estero e un solo ministro della difesa per tutta
l’Africa.
Naturalmente, quando
l’Unione Africana venne istituita io proposi l’istituzione di un
Congresso Africano. Ciò era infatti un prolungamento dell’African
National Congress. Era il nome dell’organizzazione creata nella
maggior parte degli stati africani durante la liberazione; e sotto
questa rubrica tanti stati africani vennero liberti.
Da queste
designazioni storiche derivai il nome di Congress Africano, così
che potesse essere come il Congresso Americano, Avrebbe avuto il
potere di promulgare leggi, così che il potere ritornasse alla
nazione africana, al popolo africano, al cittadino africano comune
membro del congresso. Purtroppo, si istituì un Parlamento Africano
senza poteri alcuni. Spero ceh diventi un vero Congresso Africano.
Perché dovrebbero aver paura dell’autorità del Congresso
Africano?
Voi della
diaspora potreste aver buone prospettive. Uno o tanti di voi
potrebbe arrivare a posizioni importanti negli Usa, in America
Latina, in America Centrale o in Europa. E invece noto che quando
un nero cerca di raggiungere un posto importante non corrisponde
alle nostre aspettative e esagera la similitudine alla cultura
europea o americana al punto di farsi più Yankee degli Yankee. In
altre parole, diventa più realista del re.
Perché
dovremmo favore gente così? Abbiamo di fronte a noi l’esempio degli
ebrei americani: sono molto leali allo stato stabilito
unilaterlalmente nel 1948, che chiamano Israele, e accumulano le
risorse di stato per sostenere quello staterello. Comunque ciò non
dà loro motivo di rinunciare alla cittadinanza americana e di
ricorrere al terrorismo, alla violenza, alla forza o alla
secessione.
Esagerano
il loro patriottismo americano, ma solo per poterlo usare per
promuovere l’interesse di ciò che considerano la loro madrepatria o
la loro Terra Promessa,. Perché quando un nero occupa una posizione
importante negli Stati Uniti o in Europa non usa la sua
cittadinanza di quel paese per promuovere gli interessi della sua
madrepatria, l’Africa... Bisogna far esplodere questa mina e non
bisogna passare sotto silenzio la verità, ma discuterla anche in
America.
Tutti
diventiamo americani quando andiamo in America. Non c’è una razza o
una nazionalità americana. Gli americani sono africani, cinesi,
europei e chiunque vada in America e diventi americano. La terra
chiamata America è la terra degli Indiani Rossi, che non sono né
Yankee né bianchi. Gli indiani rossi vennero dall’Asia e
dall’Africa, emigrarono là e vennero chiamati indiani per errore.
Questi popoli sono gli abitanti indigeni dell’America e quindi i
proprietari della terra. Per gli altri, non hanno il diritto di
monopolizzare l’America per conto loro ad esclusione degli
altri.
Siamo
tutti uguali in America: neri, bianchi, gialli e di colore.
L’America appartiene a tutti noi, perché tutti i popoli hanno fatto
l’America. Quindi non ho vergogna nel rivendicare il mio diritto
all’America e quando alzo la voce in America non sono straniero.
Dico a voi comunque, delle circostanze che vi hanno portato in
America. Voi siete cittadini americani ora, e allora perché siete
così timidi, perché lusingate i bianchi perché vi mantengano il
posto e vi diano la loro approvazione?
Quando
siete scontenti costituite una minaccia per loro, perché potete
tentare la secessione e la vendetta perché vi hanno tolto dalla
madrepatria come animali e vi hanno spedito in navi come schiavi.
Vi hanno trasportato attraverso l’oceano per drenare le loro paludi
e costruire le loro ferrovie. Sono loro che dovrebbero lusingare
noi, perché erano loro a perpetrare orrori ai nostri antenati e a
pensare che saremmo rimasti in silenzio e contenti di essere
americani e che avessimo dimenticato la schiavità e il tempo in cui
erano soliti buttare i nostri antenati a mare quando erano malati o
si ribellavano. Non l’abbiamo dimenticato!
Mi sono
rimaste alcune note brevi, molto brevi. Chiedo agli intellettuali
africani di prendere una copia del Libro Verde. Dovrebbero
studiarlo bene e chiedere la sua applicazione in Africa, così che
possiamo evitare ricadute nel costruire una nuova Africa. Dovremmo
farlo senza scimmiottare nessuno, perché il nostro ambiente non è
adatto per importazioni politiche, sociali o economiche. Spero che
leggiate il libro verde e che si riesca a restituire il potere alla
gente.
Spero
che, a risultato di questo incontro, fratelli Presidente Wad e
Presidente Konare, l’assistenza venga estesa ai nostri fratelli
africani diasporici per aiutarli a formare un’associazione o
un’organizzazione che possimao contattare, così da non dover essere
dispersi come individui nella diaspora. Come abbiamo detto,
dappertutto gli ebrei, anche se sono leali ai paesi ospiti, usano
tale vedeltà per servire ciò che considerano la loro madrepatria.
Noi africani dobbiamo essere così. Noi neri dobbiamo lealtà ai
paesi in cui siamo, ma dovremmo usare tale lealtà nell’interesse
del nostro continente e della nostra madrepatria.
Spero di
lanciare un forte appello per l’istituzione accelerata degli Stati
Uniti dell’Africa. Quindi non si dovrebbe dire che gli stati
africani sono troppi e troppo difficili da unire. Al contrario, la
nostra misura è equivalente alla misura di uno stato solo. Oltre
ciò, siamo una nazione, un colore, una razza e formiamo una
lingua.
Abbiamo
una religione e un’identità e non accettiamo qualcosa chiamato
etnicità razziale. Non ci sono razze in Africa, ma una sola razza
africana. Anche quelli che sono venuti da altrove e si sono
stabiliti in Africa sono diventati africani al fine. Anche gli
arabi venuti in Nord Africa sono africani malgrado loro stessi.
Alcuni arabi venuti 5000 anni fa, gli arabi berberi, e gli arabi
venuti dopo l’Islam, 1000 anni fa, sono diventati neri più tardi e
ora sono africani, come i popoli che vennero prima di loro. Tanti
popoli vennero in Africa e non sanno di essere di origine araba.
Sono indiani e indonesiani che ora non dicono: “Siamo indiani o
indonesiani”, ma dicono: “Siamo africani”. Bisognerebbe promuovere
la lingua africana, il ministero degli esteri unico per l’Africa, e
accelerare l’istituzione degli Stati Uniti d’Africa.
Inoltre,
c’è la fuga dei cervelli. Mandiamo i nostri figli a imparare
all’estero, ma non tornano mai. Trovano le fabbriche e la
tecnologia imparata in altri paesi, ma non in Africa. È una perdita
ingente, che significa che diamo istruzione ai nostri figli,
dall’asilo all’università, a beneficio degli stati coloniali. Una
volta laureati, i giovani vanno all’estero per gli studi superiori
e ci rimangono; a perderci siamo noi. È un dilemma su cui
riflettere e bisogna ritrovare un rapporto con chi abbiamo perso,
così che possano rientrare nella diaspora africana. Dovrete essere
le loro guide, così che il sapere acquisito sarà messo al servizio
del continente africano e del paese che ha dato istruzione fino
alla laurea.
Vediamo
paesi come l’Australia e altri come le Americhe, dove gli africani
sono gli indigeni locali, ma sono i bianchi ad avere il potere come
se gli indigeni fossero loro. Non si può permettere che questa
situazione continui. Come possiamo essere presenti nelle isole
attorno all’Africa, in tanti paesi di una grande diaspora, e
rimanere stranieri negli USA, in Australia, in Inghilterra, alle
Canarie, alle Malvinas o a Reunion? Questi sono paesi nostri, dove
noi siamo gli abitanti indigeni venuti in questi paesi trovati
vuoti; poi siamo entrati e gli altri sono venuti dopo.
Voglio
rivendicare le nostre glorie, la nostra storia e la nostra civiltà
per poter essere pronto ad affrontare le sfide con fiducia in noi
stessi. Non siamo schiavi e conoscevamo Dio da prima di loro.
Avevamo civiltà precedenti alle loro. Basta ricordare l’impero
Yoruba, quello del Congo, quello del Dahomey, quello del Mali e i
regni di Ashanti, del Savana e del Kinara. Ciò dimostra che siamo
una nazione civile di popoli civili.
Do il mio
saluto a questo congresso e sono orgoglioso di voi. Mi rivolgo a
voi e vorrei dirvi che la vostra sorella Libia è a vostra
disposizione ed è il vostro paese. Saluto il mio fratello
Presidente Abdullah Wad, il leader intellettuale e di cultura, e il
Professor Konari, che apprezza le persone di cultura. Insieme, i
nostri due hanno sostenuto queste attività, mentre noi li abbiamo
semplicemente aiutati.
Un’ultima
osservazione. Chiesi un tempo a un africano di informarmi della
terra di Gabriele, che venne messo a morte nel 1800 per aver
guidato una vera rivoluzione in America contro la schiavità. Aveva
programmato la rivoluzione e attaccato la città di Richmond con
migliaia di schiavi allo scopo di istituire uno stato indipendente
di neri; ma venne arrestato e messo a morte. Cercai di trovare la
sua terra natale, così da potervi costruire un monumento al 200°
anniversario della sua morte; a non ho ancora ricevuto alcuna
risposta. Spero che vogliate fare ricerche in merito e trovare la
risposta, così che gli si possa costruire un monumento nella sua
terra natale, l’Africa.
Salute a
voi. Pace a voi. Lunga vita all’Africa! Lunga vita agli Stati Uniti
d’Africa!
La lotta
continua!